Sviluppo e sovranità
Riportiamo qui di seguito uno stralcio dell’articolo “Sviluppo e sovranità”, che potete trovare per intero qui: Sviluppo e sovranita’
“Nei primissimi anni del 1960 dunque, furono sferrati quattro colpi micidiali alle possibilità dell’Italia di intraprendere un percorso di sviluppo tecnico – scientifico ed industriale di primissimo livello; una “mazzata” – che ha colpito quelle aziende che avevano raggiunto una grande dimensione, una forte integrazione e una solidità tale da permetterle di investire nella ricerca e che operavano nei settori di punta e ad alta tecnologia – che ha impedito all’Italia di partecipare a pieno titolo alla sfida della terza rivoluzione industriale. In quei settori, nel nostro paese, sarebbero rimaste per lo più solo piccole e medie aziende incapaci di portare avanti grandi progetti di ricerca e sviluppo e quindi innocue per i competitori americani. Le uniche grandi aziende, in Italia, continueranno ad essere quelle della passata rivoluzione industriale, guidate dalla FIAT.
Non sorprende quindi che la terza rivoluzione industriale si sia sviluppata e radicata profondamente solo negli Stati Uniti, mentre in Italia e in quasi tutti gli altri paesi del campo capitalistico vi abbia avuto una presa solo marginale o comunque a rimorchio degli USA. In particolare la TIC, quella tecnologia dell’informazione e della comunicazione che aveva visto i suoi albori in Italia con la Olivetti negli anni ‘50, diventerà il motore economico trainante negli anni successivi per gli Stati Uniti, con la fondazione delle grandi aziende come Microsoft, Apple, Dell, solo per citarne alcune. In seguito gli USA saranno alla testa della rivoluzione di Internet nata, ovviamente, come rete operante in ambito strettamente militare; quel settore di ricerca “sensibile” in cui vi era il quasi totale monopolio d’azione americano. Così si può dire dello spazio e dei lanci spaziali, dei radar, dei laser, dei satelliti artificiali e degli altri settori della terza rivoluzione industriale.
diversamente dall’ottimismo quasi ideologico che contraddistingue il finale di questo pregevole saggio, ciò che può lasciar sperare è proprio che la scienza odierna non è monopolio dell’Occidente, ma patrimonio anche di civiltà diverse, attrici del nuovo assetto multipolare e non immemori di ciò che è intangibile, ciò che va quasi religiosamente preservato e custodito.
l’Occidente infatti l’ha ridotta a tecno-scientismo, riducendo ad astrazione i fenomeni che indaga, come premessa per trasformarli a scopo di mera utilità, cioè di potere e di profitto per pochi e per sempre meno. e quindi sostanzialmente alienandola da coloro i quali dovrebbero al tempo stesso esserne protagonisti e beneficiari, i popoli. emblematico in questo senso l’esempio dell’agribusiness ogm, che si maschera dietro le buone intenzioni della lotta alla fame del mondo per costituire forme di monopolio sempre più fondamentali, nel senso che mirano ai beni primari dell’esistenza umana, riducendone drammaticamente gli spazi di libertà.
la vera, immane sfida consiste perciò non nell’auspicare una regressione della tecnica a stadi preindustriali, atteggiamento tipicamente reazionario, ma immaginare e concretizzare un suo superamento ed evoluzione qualitativa capaci di soddisfare i bisogni non solo materiali, imprescindibili, ma anche etico-spirituali delle comunità.
fatti non fummo a viver come bruti…
sei miliardi alla ricerca in due anni:
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