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Archive for luglio 2011

Chi fa da sè, pensa fino a tre.

In Parlamento qualcosa si sta muovendo per salvare la Think3, l’azienda di Casalecchio di Reno che opera dal 1979 nel campo dello sviluppo, vendita e assistenza software ad alta tecnologia, e dà lavoro qualificato a 150 dipendenti, la maggioranza dei quali laureati.

Lo scorso 2 maggio il Tribunale di Bologna aveva emesso ordinanza di fallimento per la Think3 Inc. e la Think3 S.r.l. Contestualmente lo stesso Tribunale aveva nominato un curatore fallimentare, che in una nota aveva comunicato di “aver esercitato il diritto di scioglimento del contratto di licenza con Versata ai sensi dell’art. 72 della Legge Fallimentare”.

La nota non è piaciuta ai vertici della holding Versata, che l’aveva acquisita nel settembre del 2010 e che in ragione del provvedimento del curatore fallimentare, non potrebbe più concedere in licenza i prodotti Think3 e usarne i marchi.

L’assessore alle Attività Produttive della Provincia di Bologna, Graziano Prantoni ha informato lo scorso 20 Luglio tutti i parlamentari bolognesi e i ministri degli Affari Esteri Franco Frattini e dello Sviluppo Economico Paolo Romani, degli “intenti predatori” del competitor statunitense che “vorrebbe bypassare la legge italiana sulla tutela dei lavoratori e dei creditori”.

Infatti il Tribunale di Bologna, con l’Ordinanza del 2 Luglio 2011 dichiara che “il contratto stipulato tra Think3 Inc e Versata deve intendersi risolto in ciascuno dei suoi aspetti legali”.

La pensa diversamente Austin Scee, manager della holding Versata secondo il quale “il curatore fallimentare italiano non ha l’autorità legale di togliere a Versata la proprietà dei prodotti Think3”. Dunque i cow-boys a stelle e strisce non fanno mistero di considerare le leggi di legittimi stati sovrani alla stregua di superstizioni degli Indiani d’America. Forse siamo già in riserva, ma dobbiamo ancora accorgercene?

Non la pensano così i senatori Rita Ghedini, Gian Carlo Sangalli e Walter Vitali, che sono stati i primi ad aver risposto ai segnali di fumo dell’assessore Prantoni, presentando lo scorso 21 Luglio un’interrogazione parlamentare ai Ministri Romani e Frattini, per tutelare la correttezza della procedura fallimentare e garantire così creditori e lavoratori.

Infatti secondo i senatori, la societa’ Versata sta “fornendo false informazioni ai clienti e al mercato in merito alla procedura fallimentare Italiana che interessa Think3 e Think Inc, adombrando cointeressenze non piu’ esistenti con le due societa’ italiane in oggetto, vantando la proprieta’ di licenze e brevetti delle due societa’ italiane in parola, pubblicizzandone i prodotti come propri ed utilizzando illegalmente il dominio http//www.tunk3.versata.com: cio’ configura a tutti gli effetti azione sistematica di dumping competitivo e concorrenza sleale. Tali fatti rischiano di compromettere la corretta gestione della procedura fallimentare in corso”.

La lotta se posta su un piano “di pura forza economica” ha un esito scontato. D’altro canto pur lodando l’impegno di Prantoni e dei tre senatori, occorre una buona dose di ottimismo per confidare nel rispetto della legge italiana da parte di colossi dell’informatica statunitense come Versata, che non sono nuovi ad azioni di concorrenza sleale come questa. Chi conosce lo stato delle nostre politiche industriali può prevedere facilmente l’esito di questo scontro economico. Chi va a spiegare ai 150 dipendenti della Think3 che, come diceva l’economista Ernst Schumacher, piccolo è bello?

Recensione all’incontro di mercoledì scorso.

Recensione di Andrea Broggi:
“A tutto stavo pensando, meno che a questo, cioè essendo il primo anno in cui mi cimento con gli incontri con gli autori, penso sia naturale che solo ora mi venga in mente quanto il caldo possa essere demotivante per la mia voglia di partecipazione mondana… a questo tipo di (generalmente) pomeridiana mondanità, diciamo meglio.
Comunque questa volta ho avuto fortuna, perché l’evento, organizzato con la collaborazione della Libreria Irnerio e dell’attivissima Associazione Culturale Eur-eka (entrambe di Bologna) ha goduto sensazionalmente di un pomeriggio in stato di grazia, “offerto” dalla corte interna del giardino del CostArena (sul quale per conflitto di interessi, dato che attualmente vi lavoro come addetto ufficio stampa, non mi dilungherò raccontando quanto sia straordinariamente eccellente, anche solo per la prolifica energia con cui viene promosso tutto ciò che è accomunabile sotto il nome di cultura).
Insomma, la presentazione, introdotta dallo scrittore Patrick Fogli, vedeva partecipe il romanziere Francesco Aloe, già autore di Vertigine, con il suo Il vento porta farfalle o neve, edito in questo 2011 da VerdeNero, che come sempre si dimostra attenta a tutto ciò che da noir diventa racconto dell’uomo come mostro sociale.
Un romanzo con due storie parallele, questo è il libro di cui veniamo a conoscenza.
Un’opera che ha per protagonista un uomo, Fratello. Un personaggio, introspettivo, curioso, freddo, che è prima di tutto un killer dell’ndrangheta, la cui ispirazione romanzata è tratta da una persona realmente esistita e vissuta (se non ancora vivente) a Lamezia Terme.
La sua storia è la prima del romanzo. La finzione creativa.
Poi c’è la seconda storia, quella che parrebbe venir fuori dalla fantascienza, e invece come spesso tristemente accade, è frutto della realtà. Nella notte del 10 aprile 1991, il traghetto Moby Prince, appena partito dal porto di Livorno, si scontra contro il lato destro della petroliera Agip Abruzzo. Nell’incidente oltre a svariate tonnellate di petrolio disperso tra aria e mare, muoiono carbonizzate 140 persone tutti i passeggeri del traghetto, meno il mozzo che viene tratto in salvo per tempo.
Tra la fiction e la realtà, L’Aloe, con abile e inquietante grazia trova un taglio che non sia divaricatore, ma, piuttosto, definito. Il punto di contatto tra queste due parti è lo stesso protagonista. Fratello, infatti, si imbatte casualmente nell’accaduto, è all’estero per “lavoro”, ma è talmente impressionato dall’incontro con i fatti della vicenda che comincia a leggere, a indagare, a informarsi. Si imbatte nello stupro della realtà che è stato sistematicamente fatto sull’accaduto. Uno dei nostri famosi misteri italiani. Che tanto se è un mistero è anche perché un po’ ci piace che resti tale, del resto se venisse svelato perderebbe il suo fascino. Come se ne avesse alcuno. A ogni modo il mistero non piace a Fratello. E il lettore, malgrado la sua naturale indolenza, si trova proiettato pagina dopo pagina in fatti, interrogativi irrisolti, storie su storie. Fino alla fine. Quando come dice l’autore: “ho scoperto crescendo che quella nave bruciata in mare aperto, che io ricordavo, si è trasformata in bare”.
Perché sia chiaro che è stato un incidente, è necessario sottolineare la parola.
Quella notte c’era la nebbia. C’era un banco di nebbia proprio lì tra la prua rivolta a sud della nave petroliera ancorata a largo e il punto dello schianto della Moby, il traghetto che proveniva dal porto. Anzi no, che stava tornando in porto, se la prua era rivolta a sud il lato destro dell’Agip doveva affacciarsi sul mare aperto. Ma perché stava tornando in porto? Sciocchezze, il personale di bordo era agli ordini del comandante Ugo Chessa, un uomo di 56 anni con solo un’intera vita passata in mare e stava guardando la partita di Coppa delle Coppe Juventus – Barcellona! Poi mentre morivano, la maggior parte dei membri dell’equipaggio si son trascinati tutti nella plancia di prua per far credere d’aver mantenuto saldo il loro impegno al dovere fino all’ultimo! E comunque a parte l’errore umano, c’era la nebbia e faceva anche caldo a causa del materiale combustibile vomitato dalla fiancata della petroliera e c’era fumo e c’erano in radio le voci in americano (una nave, tale Theresa, che non si sa cosa facesse lì e che fine abbia fatto) e le voci italiane. Il salvataggio era impossibile. Prima dovevamo impedire che l’oro nero si rovesciasse in mare, chi poteva sapere che l’unica nave appena partita dal porto, come un falò nel buio, stava andando completamente avvolta dal combustibile alla deriva con 141 vite umane a bordo?
Ma un falò nel buio non si dovrebbe vedere? Certo, ma c’era la nebbia, seguiva la Moby Prince.
A presto, buona lettura.
Ps. Non ho parlato delle verità nascoste dietro l’incidente. Non ho parlato della giornalista Ilaria Alpi, né della sua morte sospetta a Mogadiscio, mentre indagava su un traffico di armi occidentali scambiate con l’accoglimento di rifiuti tossici illegali. “Non c’è niente di cui vergognarsi se non sai, questa storia non ti è stata raccontata“, terrebbe a precisare con gentilezza l’Aloe, forse però è arrivato per tutti il momento di cercarla”.
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